Il 21 febbraio scorso il CNCA ha organizzato un incontro online sulla situazione in Palestina con la studentessa palestinese Rita Baroud. Ventunenne, Baroud racconta la guerra nel suo paese sulle pagine di Repubblica, dal suo campo profughi nella Striscia di Gaza, a Deir al Balah.
Ecco un breve resoconto dell’incontro.
A nord di Gaza le macerie sono impressionanti, le foto e i video non rendono l’idea. Le persone vivono nelle strade distrutte, mi sono sentita straniera nella mia terra. Si parla di aver perso tutto, non solo di aver interrotto gli studi.
Frequento l’università online, ma è molto difficile continuare perché non c’è elettricità e connessione. La situazione è pesante per il trauma e la salute mentale, vorrei curare la mia anima.
Cosa ti ha dato il racconto e perché hai iniziato a raccontare con un diario le tue giornate?
Dopo il terzo giorno di guerra, mi hanno chiesto dei video da La Repubblica, ma non ero in grado per la situazione che stavo vivendo, non riuscivo a pensare a niente, non ero pronta a parlare di Gaza. Ho avuto bisogno di tempo, anche perché sono stata costretta a spostarmi tante volte. Poi, quando Sami Al-Ajrami (un giornalista palestinese che collabora con Ansa e Repubblica, ndr) è uscito da Gaza, ho sentito che avevo il dovere di parlare di Gaza, di non interrompere il racconto in diretta. Scrivere mi ha aiutato a esprimere i miei sentimenti, sono contenta di farlo.
È importante per me parlare di Gaza, non è un lavoro, ma un dovere di dire la verità. Parlare del futuro è come parlare di una situazione sconosciuta. Le persone vivono in tende, ma hanno una incredibile forza di ricostruire da zero.
Quando sono andata al nord, molti caffè e ristoranti si stavano ricostruendo da zero, è impressionante come ci sia questa forza e volontà di ricostruire. Anche molte scuole stanno provando a mantenere la continuità educativa e ricostruire le scuole distrutte.
Hai detto che vorresti curare la tua anima. È possibile guarire?
Le persone non parlano molto di guarire, siamo molto diversi. Se parlo di guarigione, qualcuno parla di resilienza, altri di resistenza. Alcuni ridono se parli di accettare di avviare percorsi di salute, di guarigione, dicono che devi solo combattere e non pensare a questo, che non è il momento.
Per guarire e curarsi c’è bisogno di spazio, invece qui non c’è. Anche se mi stessi curando, quando esco e vedo tutto nero, tutto distrutto, non è possibile guarire. Quando sono andata al nord per vedere la situazione, ero molto spaventata di non avere la possibilità di arrivare o tornare. Adesso non sono in grado di piangere. Non vedo nemmeno la speranza di una tregua.
Tutti a Gaza hanno problemi di salute mentale, ma non accettano questa situazione di bisogno di guarigione. È difficile in una situazione normale prendersi spazio di guarigione e qui i traumi sono continui e ora non c’è alcuno spazio accessibile. Manca la legittimità di poter accettare la necessità di guarigione e prendersi cura di sé stessi, della propria salute mentale, della propria anima.
Cosa possiamo fare?
Continuare a parlare di Gaza, le persone in Gaza hanno bisogno del massimo supporto. Adesso, anche se le bombe sono ferme, le persone stanno affrontando la guerra dentro di sé, il trauma e la difficoltà della sofferenza e della condizione psicologica.
Io non ho speranza per Gaza, abbiamo finito le parole, adesso vogliono evacuarci da Gaza. Non si riesce a capire, tutto è molto complicato.
Quello che posso chiedere è continuare a parlare di Gaza il più possibile. Per adesso questo è quello che è meglio fare, boicottare chi sta causando tutto ciò. Boicottate chi sta causando tutto ciò.
Cosa vogliono fare le persone?
Trump sta parlando di costringere le persone a uscire da Gaza e comunque le persone non vogliono uscire, a maggior ragione vogliono rimanere nella propria terra. Quelli che vogliono uscire da Gaza sono soprattutto i giovani che vogliono continuare a studiare.
Vorrei continuare i miei studi e vorrei un futuro migliore, io non voglio rimanere a Gaza, per un futuro migliore. Non c’è molto rimasto per me qui a Gaza e anche se fosse ricostruita, non credo che sia una mia aspirazione rimanere a Gaza.
Non tutti i giovani vogliono lasciare Gaza, molti credono nella ricostruzione come obiettivo. Dopo aver perso tutto, io non voglio rimanere qui. Sto parlando come una persona normale, non come una giornalista o scrittrice. Non siamo tutti uguali, anche fra i giovani alcuni vogliono rimanere, altri vogliono andare. C’è molta disperazione e confusione in questo momento, la frontiera è chiusa.
Ora cosa sta succedendo? Sappiamo che forse verrà data la possibilità di uscire ma non di tornare?
Non sappiamo cosa vogliono veramente da Gaza. Non riusciamo a capire se immaginano di forzarci tutti a uscire tagliando tutti i servizi per vivere. Questa politica è sempre stata attuata da Israele: hanno bloccato tutti gli aiuti, impediscono di togliere le macerie, per costringere le persone di Gaza a sentirsi stanche e forzarli a uscire da Gaza. Lo fanno scientemente, per costringerci ad andare via, anche impedendo ai giornalisti internazionali di entrare. Vogliono trasformarci in rifugiati, mandarci via dalla nostra terra.
Io ho ancora 22 anni, ma mi sento come se ne avessi 60. Vorrei vivere la mia età. Stare a Gaza mi causa grande difficoltà. Io devo uscire da Gaza, allora tutto sarà più facile.
I cittadini di Gaza hanno fiducia in qualche agenzia o paese?
Le leggi internazionali esistono e condannano chiaramente un genocidio. La guerra a Gaza è un genocidio a tutti gli effetti, eppure nulla sembra fermare Israele e gli USA. Sono capaci di cambiare le leggi a loro piacimento, anche se ciò significa violare il diritto internazionale.
Stiamo parlando di un potere immenso, quello di Israele, che riesce a controllare tutto, persino il quadro legale. Anche mentre parliamo, non sono sicura di poter fare riferimento alle leggi internazionali, perché la situazione è in continuo cambiamento e niente sembra fermare questa escalation di violenza.
Il potere di Israele è tale da rendere impotenti le leggi internazionali. Non esiste uno strumento che possa fermare la loro volontà.
Anche adesso che sto parlando non so se posso fare riferimento alle leggi internazionali, perché tutto sta succedendo, niente lo ferma.
Nessuno può farci sentire al sicuro.
Hai chiesto di iscriverti a qualche scuola in Italia?
Ho fatto richiesta a Siena, adesso è aperta Bologna. Ma sembra che non vadano a buon fine per qualche questione procedurale, forse dovevo farla prima. Fra poco chiudono le iscrizioni. Non ho capito bene come funziona questa cosa, pare che si debba essere già iscritta all’università
ma non ho capito bene la procedura. E non so quando apriranno il passaggio per uscire. comunque anche senza la borsa di studio vorrei finire il mio corso di studi, e ci sto provando online, così potrei iscrivermi a un master, sto studiando francese. Voglio completare i miei studi, qua a Gaza non c’è più università. Non vorrei fare i corsi online. Le procedure burocratiche sono difficili, molti chiedono certificati della conoscenza dell’inglese e non saprei come farlo qua in Gaza. Mi hanno chiesto molti documenti che non ho.
(Testo a cura di Alessia Pesci)