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CNCA: “Difendiamo il diritto di protesta”

Nel corso del Consiglio nazionale del CNCA che si è tenuto a Foligno ieri e oggi, la federazione ha ospitato Laura Renzi, manager delle campagne su spazi di libertà e società civile di Amnesty International Italia, per un confronto approfondito sul decreto Sicurezza e sul più ampio contesto europeo di restrizione del diritto di protesta.

In un momento storico in cui le libertà fondamentali sembrano sempre più sotto pressione, Amnesty International alza la voce per denunciare la crescente repressione del diritto di protesta in Italia e in Europa attraverso la sua campagna “Proteggo la protesta”, attiva dal 2022.

Nell’ultimo rapporto “Poco tutelato e troppo ostacolato: lo stato del diritto di protesta in 21 stati europei”, frutto della ricerca di 21 sezioni di Amnesty International in Europa, l’organizzazione denuncia un trend allarmante: in molti paesi europei il diritto di manifestare pacificamente è oggi ostacolato, criminalizzato o represso.

L’Italia non fa eccezione.

Nonostante l’apparente protezione costituzionale, il diritto di protesta in Italia è ancora disciplinato dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS), normativa del 1931 ma ancora in vigore, che consente alle autorità di vietare una manifestazione sulla base, tra le varie ragioni, di una mancata notifica. Negli ultimi anni, inoltre, la deriva autoritaria si è intensificata, attraverso altre misure emanate tra cui:

  • il cosiddetto decreto legge rave party (2022), poi convertito in legge, che irrigidisce le regole sui raduni;
  • La legge 6/2024, che inasprisce le sanzioni per danneggiamento e deturpamento di beni culturali o paesaggistici, criminalizzando chi protesta pacificamente in favore della giustizia ambientale e che è stata presentata dal ministero dei Beni culturali come iniziativa volta a contrastare gli “eco-vandali”.
  • Misure preventive come i fogli di via, usati sempre più spesso per allontanare le persone attiviste dai luoghi della protesta, anche in assenza di una reale pericolosità sociale.

Con il decreto Sicurezza si è fatto un ulteriore passo verso la restrizione delle libertà civili, dalla dotazione di bodycam per le forze di polizia, senza l’introduzione dei codici identificativi alfanumerici, alla punibilità dei blocchi stradali con un mese di carcere e una multa fino a 300 euro, una pena che si alza da sei mesi fino a due anni qualora siano più persone a bloccare la strada. Si prevede l’estensione del cosiddetto DASPO urbano a coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti e l’introduzione del reato di rivolta in carcere nei Cpr e negli hotspot, che punirà anche chi resiste passivamente.

“La narrazione tossica che dipinge le proteste come una minaccia alla sicurezza serve solo a giustificare misure sempre più repressive”, afferma Laura Renzi. “È in corso una pericolosa normalizzazione della criminalizzazione del dissenso che riguarda tutti: dai lavoratori in sciopero, agli studenti, agli attivisti per il clima o i diritti sociali.”

La risposta della società civile non si è fatta attendere. Dalla mobilitazione nei territori alle interlocuzioni con il Parlamento europeo, passando per la proposta di un Osservatorio europeo sull’Italia.

Dalla discussione del Consiglio nazionale del CNCA emergono anche proposte concrete: abbiamo bisogno di un nuovo “soccorso legale”, di reti giuridiche e solidali per chi rischia processi e sanzioni. E abbiamo bisogno di raccontare esperienze positive e concrete di gestione sicura e responsabile delle manifestazioni, che contrastino la retorica della repressione.

Il diritto di protesta è alla base di ogni conquista sociale. Senza il coraggio delle persone che sono scese in piazza nel passato, molti dei diritti oggi considerati acquisiti non esisterebbero.

Fino a maggio c’è tempo per agire. Il decreto Sicurezza non è ancora legge definitiva: manca la firma del presidente della Repubblica. Amnesty International Italia invita tutta la società civile, i media, i movimenti e i singoli cittadini ad alzare la voce, a difendere con forza il diritto alla protesta pacifica.

Perché il diritto di protesta è un diritto fondamentale.

Stefano Trovato, vicepresidente del CNCA, che sta seguendo per la federazione la Rete No DDL Sicurezza – A pieno regime, ha sottolineato che “Il diritto di protesta non si difende da soli. Si difende insieme, con una presenza concreta e costante. Serve una rete larga, fatta di corpi, di parole e di pratiche. Dobbiamo presidiare i luoghi scomodi e ricostruire fiducia proprio dove oggi crescono sfiducia e rassegnazione.”

Caterina Pozzi, presidente del CNCA, ha espresso forte preoccupazione per la deriva repressiva in atto e ha ribadito l’urgenza di una mobilitazione radicata nelle comunità locali: “Non possiamo limitarci alla denuncia dall’alto o al dibattito nei convegni. Dobbiamo tornare sui territori, nei quartieri, nelle scuole, nelle piazze. È lì che si costruiscono relazioni, che si difendono i diritti. Se abbandoniamo quei luoghi, lasciamo spazio solo alla paura e alla semplificazione. Dobbiamo continuare a stare sui territori, ricostruire legami e presidiare i diritti.”

Le parole della presidente Pozzi richiamano con forza alla responsabilità collettiva e all’importanza di un attivismo diffuso e radicato, in grado di parlare non solo agli attivisti, ma anche a chi oggi si sente escluso o distante dalle mobilitazioni civili.

Consiglio nazionale CNCA

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