Oggi l’evento promosso dalle organizzazioni che hanno sottoscritto il documento “A Trieste senza dogmi né pregiudizi”
Innovazione dei tipi di intervento, un dibattito ampio e articolato sull’approccio preventivo ai consumi di sostanze stupefacenti, una politica di “riduzione del danno” nel sistema dei servizi e la revisione della legge sulle droghe Fini-Giovanardi e delle sue conseguenze in termini penali (che hanno portato le carceri italiane a un tasso di sovraffollamento del 139%). E ancora: più attenzione al rapporto tra politica e scienza, senza strumentalizzare quest’ultima a fini “ideali”, e rispettare la collocazione comunitaria dell’Italia restando in linea con la politica dei “quattro pilastri” dell’Unione Europea in tema di tossicodipendenza. Sono queste le proposte avanzate dalle associazioni e dalle comunità di recupero che hanno collaborato alla stesura di “A Trieste senza dogmi né pregiudizi”, un cartello nazionale per evidenziare la loro posizione fortemente critica sull’organizzazione e sulla progettazione della quinta Conferenza nazionale sulla tossicodipendenza, che si terrà a Trieste dal 12 al 14 marzo, e sulle politiche del governo Berlusconi in tema di droga. Il documento è stato presentato oggi a Bologna.
“La conferenza rappresenta un diritto e un bisogno di chi, a vario titolo, è investito dalle politiche sulle droghe – si legge nel documento stilato da Antigone, Cgil, Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), Cnnd (Coordinamento nazionale nuove droghe), Forum salute mentale, Gruppo Abele, Forum droghe e Itaca Italia -, specialmente in una fase di trasformazione velocissima e profonda del mondo dei consumi problematici e delle dipendenze multiple”. Ma così non è: i firmatari del documento, infatti, evidenziano “gravi carenze” nel programma della Conferenza, specchio della politica del governo in tema di tossicodipendenze. Il numero di operatori pubblici invitati “non è sufficiente”, e a preoccupare gli addetti ai lavori sono anche l’assenza di un coinvolgimento dei principali attori delle politiche e dei servizi per la tossicodipendenza, la mancanza di una discussione sulla legge vigente e sui suoi risultati, l’assenza di una riflessione sulle politche di riduzione del danno e il silenzio sul processo di diminuzione crescente del Fondo sociale.
“Una riflessione accurata, che consideri tutti gli aspetti della tossicodipendenza, manca dal 2000. Prima di allora qualcosa era stato fatto – dice Teresa Marzocchi del Cnca -. Alla conferenza di Genova di quell’anno, infatti, si era discusso di cose che oggi non vengono neanche nominate: stiamo assistendo a una retrocessione in tema di droghe. Anche l’ex ministro Rosi Bindi aveva permesso la stesura di un documento sulla riduzione del danno, e a quella conferenza i consumatori in prima persona e i rappresentati dei sindacati avevano avuto spazio per esprimersi”. Nove anni dopo, la situazione sembra ribaltata. Il dialogo pare impossibile, molte associazioni hanno rinunciato a partecipare alla Conferenza a causa del ruolo “muto” che il governo ha dato loro e altri soggetti, come la Cgil, minaccia di abbandonare la discussione nel momento in cui non venissero ascoltate le proposte dei sindacati.
Gli approcci del governo al problema della tossicodipendenza si ripercuotono in molti aspetti della vita sociale. “La valutazione della legge Fini-Giovanardi è di estrema importanza e porta a capire che la fine dell’effetto dell’indulto non è l’unico motivo di sovraffollamento delle carceri – spiega Franco Corleone, del Forum droghe -: infatti, degli oltre 60.000 detenuti presenti in Italia attualmente, la metà è in carcere per la violazione di questa legge, che prevede la detenzione da 6 a 20 anni per il possesso di tutte le droghe ignorando la distinzione tra leggere e pesanti, e ha introdotto il reato di spaccio presunto, che si basa sulle quantità di stupefacenti possedute e non sull’atto vero e proprio di spacciare”.
Ma la legge Fini-Giovanardi non è l’unico problema. La “riduzione del danno” – la strategia di intervento nata per arginare il propagasi di malattie infettive tra i consumatori di sostanze stupefacenti -, ad esempio, è una politica a cui le associazioni vorrebbero tornare. “A Bologna il lavoro degli ultimi anni ha portato a una collaborazione tra pubblico e privato – spiega Gianluca Borghi del Forum droghe – sugli interventi per la riduzione del danno, pratica sostenuta in tutta Europa anche dai governi di destra. Ma le risorse economiche impegnate e l’ostilità per questa modalità di intervento hanno messo in difficoltà le Regioni”. “Ridurre il danno non vuol dire lasciare che la gente si droghi – continua Marzocchi -, ma andare a prenderla prima che la situazione diventi irrisolvibile. La politica del governo Berlusconi non ammette approcci multidisciplinari e nuove metodologie”. Attualmente ad usufruire dei servizi pubblici per le tossicodipendenze sono 171.000 utenti, di cui il 42% policonsumatori e il 7% immigrati. “Questa varietà di utenti necessita di operatori qualificati e formati, di un pluralismo di vedute, di un’apertura mentale e di fondi”. “Questo approccio non avverrà a Trieste, dove ad avere spazio sarà un’unica ideologia”, conclude Giuseppe Bortone, responsabile nazionale per le tossicodipendenze di Cgil.
(4-3-2009; Fonte: Redattore Sociale)