Presa di posizione della Federazione sulle due gravissime vicende
CNCA: “Cucchi e Blefari, vittime
di un carcere malato”
Non sono più rinviabili l’attuazione della riforma sanitaria per i detenuti
e il ricorso alle misure alternative per tutti coloro che ne hanno diritto
Roma, 2 novembre 2009
“Un carcere sempre più malato produce episodi sempre più estremi e gravi: Stefano Cucchi e Diana Blefari ne sono le ultime vittime.” Così Lucio Babolin, presidente del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) esprime il dolore della Federazione per le due diverse vicende e chiede alle istituzioni una rapida inversione di rotta per rendere più umane e trasparenti le condizioni di vita negli istituti penitenziari.
“I gravissimi fatti di questi giorni”, continua Babolin, “richiedono, prima di tutto, che si accertino responsabilità e omissioni. A tal proposito, il CNCA ritiene che occorra agire rapidamente e senza avere riguardi per nessuno. Chi ha sbagliato, paghi.”
“Ma è chiaro che, in queste vicende,” afferma il presidente del CNCA, “riemergono questioni più generali, che rimangono del tutto irrisolte. In primo luogo, il passaggio – tutto da realizzare – da un’assistenza sanitaria per i detenuti curata dall’Amministrazione penitenziaria a una sanità che fa capo al Servizio sanitario nazionale. Oggi il sistema continua a non saper far fronte alle situazioni patologiche, fisiche e psichiche, che riguardano i carcerati, i quali stanno persino peggio di prima.”
“Ma il problema principale resta quello di un sovraffollamento inumano”, conclude Babolin, “Da tempo il CNCA propone di risolvere il problema – che è causa anche dell’altissimo numero di suicidi e di malattie di vario genere che colpiscono sia la popolazione detenuta sia gli agenti della polizia penitenziaria – ricorrendo alle misure alternative per chi ne ha diritto per legge. E ciò è possibile anche per le persone tossicodipendenti e per quelle immigrate. Si possono usare, a tal scopo, sia le risorse che si libererebbero togliendoli dal carcere, sia i fondi, di notevole entità, contenuti nella Cassa ammende – a cui affluiscono le somme versate per le pene pecuniarie – che dovrebbero per legge essere impiegati anche per favorire il reinserimento dei detenuti, ma che giacciono in gran parte inutilizzati.”