Una città, di questi tempi, è fatta di muri, di piazze piene di tavolini, di spazi regolamentati e messi a profitto fino all’ultimo centimetro possibile, in modalità ostili non solo ai flussi spontanei, al libero attraversamento di luoghi, spazi e relazioni, ma anche agli investimenti sociali che essa stessa destina a sé.
In una città di questi tempi succede che si trovi una manciata di operatori e operatrici di strada, freschi e pieni di entusiasmo, quell’entusiasmo prezioso di chi ha occhi e orecchie per vedere e ascoltare i segnali sommersi e le tracce nascoste, di chi sa che tra quelle strade si nasconde un potenziale enorme, di chi sa che la città chiama e di chi, infine, ha sufficiente curiosità per accettarne la sfida e provare a decifrare quei segnali, oltre gli allarmismi di baby gang vere o presunte.
Succede che una città decida di supportare il lavoro degli operatori e delle operatrici di cui sopra attraverso un finanziamento destinato all’educativa di strada rivolta a giovani dagli 11 ai 19 anni, ma che non sappia decidersi se supportarlo davvero, che non sappia come non sommergerlo di burocrazia, di penali legate a vincoli di un capitolato minuziosamente definito fin nel millimetro della dimensione di un paio di loghi. Succede che, spesso, il lavoro di ascolto di quel gruppo di operatori si sfianchi davanti a rendering, ai tecnici abilitati e alle loro tariffe.
Ma non è questa la storia che vogliamo raccontare. Quella che vogliamo raccontare è quella di una città che, nonostante questi tempi, è fatta anche di connessioni, di luoghi e mondi che si parlano, ed è a questa dimensione che vogliamo dare voce, spazio e cittadinanza.
Questa storia inizia più di vent’anni fa, quando un camper chiamato Ubik girava per i quartieri di questa città e incontrava i ragazzi e le ragazze di allora mettendogli in mano microfoni, bombolette, dando voce e spazio alle loro passioni. Attraverso quella che ora è nota, in modo non del tutto appropriato, come street art e attraverso le rime dei testi rap si rintracciavano, oggi come allora, desideri, emozioni, tematiche legate al disagio, come povertà, emarginazione, violenza e desiderio di riscatto.
Da allora Cat cooperativa sociale non ha mai abbandonato questo approccio nei progetti che si rivolgono ai giovani.
In questa storia quei ragazzi di vent’anni fa hanno una parte e anche importante. Succede infatti che durante il lockdown, quando la città è chiusa e i suoi abitanti più fragili vivono le conseguenze più nefaste della pandemia, un gruppo di street artist decida di fare un’asta delle proprie opere su instagram e, con quello che riescono a raccogliere, decidano di supportare chi si trova in strada privato di spazi di vita dignitosi.
È una piccola storia, che racconta del potenziale trasformativo che l’arte ha su una città.
IL progetto IEA! ha supportato le azioni delle operatrici e operatori di strada Street Workers, del Centro Giovani Sala Gialla e del Centro Java, rendendo possibile la realizzazione di laboratori di street art destinati a ragazzi e ragazze delle scuole medie e superiori nei luoghi sensibili di Firenze, luoghi preziosi come il Giardino di via Maragliano, un giardino strappato dagli abitanti alla cementificazione selvaggia negli anni Ottanta, attualmente gestito dall’associazione Giardino di San Jacopino e attraversato ogni giorno da decine e decine di ragazzine e ragazzini con il loro carico di voglia di aggredire la vita e di disordine adolescenziale.
Vi lasciamo con le loro parole scritte dall’associazione Giardino di San Jacopino, che raccontano il senso di realizzare dei laboratori di street art in luoghi come quello. “Da qualche tempo a questa parte i giornali e i social insistono sul racconto del nostro rione come luogo pericoloso, degradato e pressoché invivibile. Dinamiche e situazioni completamente diverse tra loro vengono accomunate ed etichettate, mentre sono spesso conseguenze di forme di disagio sociale che richiedono maggiore comprensione e risposte adeguate da parte di tutti, istituzioni e cittadini. I problemi e i motivi di allarme esistono, come in ogni altra parte della città e il punto non è negare o sminuire. Ma decidere come si vogliono affrontare e provare a risolvere. La nostra risposta ai pressanti interventi sul tema ‘sicurezza”’è sempre la stessa: non possono bastare interventi che riferiscano semplicemente e unicamente a una logica di ordine pubblico. È necessario intervenire in modo costruttivo, ascoltare i segnali di disagio laddove ce ne sono, lavorare per l’integrazione e il tentativo costante di con-vivere e vivere i pochi spazi comuni che abbiamo.”
I laboratori sono stati realizzati da Ninjaz e Achee77 con Street Workers Firenze in collaborazione con A Testa Alta APS, Sala Gialla, Centro Java e Associazione San Jacopino.
Phan Thi Lan Dai, Cat